ARMI DI PLASTICA? (PARTE SECONDA)
E’ arrivato il momento di “toccar con mano” l’oggetto della nostra indagine: è per questo che ci siamo recati in visita alla AWS Fratelli Amodeo,
azienda che da più di trent’anni opera nel settore dello stampaggio di componenti tecnici curando l’iter produttivo dalla realizzazione degli stampi alla verniciatura esterna dei pezzi.
Poiché i macchinari di stampaggio, in gergo chiamati “presse”, sono in grado di lavorare qualsiasi tipo di materiale plastico grezzo occorre in primo luogo farne una selezione in base alle caratteristiche fisico-meccaniche del prodotto da realizzare. Le c.d. “basi termoplastiche tecniche” sono di solito i poliammidi (PA) nei loro vari sottotipi, il PPS, il PPA ed il PEEK.
Quali sono tuttavia i termini di paragone usati nel confronto dei tecnopolimeri? Semplicissimo:
Si considerano in primo luogo le proprietà fisiche che vanno dalla densità del materiale alla temperatura massima di utilizzo in aria. In secondo luogo si prendono in considerazione le proprietà meccaniche dalla resistenza agli urti allo snervamento ed ai carichi di rottura. Si usa passare poi alle proprietà termiche ed elettriche ed, infine, si analizzano alcune caratteristiche quali l’infiammabilità, il coefficiente d’attrito e la stabilità ai raggi UV.
Quest’ultima, in particolare, merita un approfondimento: i polimeri, al pari di ogni altro materiale, sono soggetti a deterioramento. La loro longevità dipende da fattori quali la composizione biochimica e gli stress subiti in fase di lavorazione ma, come ben sanno per esempio i soldati tedeschi in Afghanistan (fenomeni di “creep” hanno colpito alcuni esemplari di H&K G36) anche i raggi UV possono rovinarli. Le onde e.m. ed il calore possono infatti fungere da catalizzatori nel provocare reazioni c.d. “radicaliche” in grado di disgregare la materia plastica a livello molecolare. Vuol dire questo che i polimeri sono elementi poco duraturi? Assolutamente no: occorre solo tener presente la destinazione finale del prodotto, scegliere i materiali opportuni e lavorarli al meglio.
La produzione, una volta selezionato il materiale plastico da utilizzare, ha inizio con la fase di progettazione, basata oggigiorno sull’utilizzo di programmi per PC: esistono infatti dei software c.d. CAD (Computer Aided Design) per elaborare progetti virtuali tridimensionali. Tra i programmi più utilizzati c’è il Rhynocerox che, prima ancora di passare alla fase c.d. di “prototipazione”, consente di effettuare alcune simulazioni di funzionalità meccanica.
Portato dunque a termine il disegno del pezzo si rende necessaria la realizzazione di un simulacro di esso. I progettisti più raffinati si servono solitamente di stampanti tridimensionali le quali consentono di produrre solidi che replicano, in tutto e per tutto, il prodotto finito. I vantaggi della tecnologia di “stampaggio 3D” sono vari: in primo luogo la stereolitografia consente di risparmiare tempo e costi (una delle più note case produttrici di stampanti parla esplicitamente di un taglio di oltre il 70% delle spese di prototipazione); in secondo luogo è possibile saggiare ulteriormente l’efficienza meccanica del prodotto, valutarne le proprietà estetiche, ideare presentazioni etc…in ultimo il metodo di lavorazione delle macchine che, è bene ricordarlo, procedono per stratificazione, permette di ottenere prototipi le cui caratteristiche sarebbero impossibili da ottenere con i classici procedimenti di asportazione meccanica.
Un esemplare di 7,62mm SLR L1A1, adottato alla fine degli anni Cinquanta del XIX° secolo. Rispetto ad allora la tecnologia armiera ha fatto molti progressi. Il punto di arrivo?
L’unico limite degli oggetti realizzati riguarda in modo specifico la loro struttura biofisica: le stampanti tridimensionali non sono in grado di lavorare indifferentemente qualsiasi tipo di materiale così, per esempio, riproducendo il prototipo di un pezzo che andrà realizzato in Nylon caricato in fibra di vetro si utilizzerà un altro tipo di polimero. Nel nostro caso abbiamo visionato degli oggetti di forma complessa in ABS.
Prototipo di ARX160SF, fotografato quasi dieci anni fa. All’epoca si pensava che il futuro delle armi leggere avrebbe visto un sempre più vasto utilizzo dei polimeri.