I SISTEMI DI ACCENSIONE DELLE MODERNE ARMI AD AVANCARICA
Le potenzialità delle armi ad avancarica in termini di precisione ed accuratezza sono sorprendenti ma il loro utilizzo presuppone metodicità e perizia anche per quanto riguarda l’allestimento del munizionamento.
Di G.Tansella
Le moderne cartucce impiegano il componente del bossolo per unire in un unico manufatto, comodo da trasportare ed utilizzare, proiettile, propellente ed innesco. L’uso delle armi a retrocarica è dunque relativamente semplice ma sarebbe errato attribuire loro una schiacciante superiorità balistica.
In ambito sportivo i vecchi sistemi non sono stati soppiantati e gli strumenti di tiro ad avancarica, proposti al pubblico quali moderni prodotti industriali suddivisi in varie tipologie, vivono una fase di crescente diffusione.
Strumenti di tiro agli antipodi i due sopra accennati? Assolutamente no.
Il funzionamento delle armi ad avancarica non è, infatti, molto differente da quello delle armi a retrocarica ed entrambi gli archetipi d’arma, peraltro simili nell’impostazione ergonomica, prevedono l’esistenza di una camera di scoppio nella quale proiettile e propellente vengano alloggiati insieme prima dello sparo.
I componenti della munizione rimangono dunque, in linea generale, sempre gli stessi ma usando le armi ad avancarica l’approccio al tiro è relativamente complesso ed il tiratore, volta per volta, deve predisporre al fuoco il proprio strumento di tiro “confezionando sul campo”, in sostanza, ogni munizione da utilizzare, approntando al meglio il sistema d’accensione di cui è dotata l’arma, che generalmente è del tipo a percussione o del tipo a pietra.
Nelle abituali condizioni di tiro in poligono coperto non vi è grande differenza, in termini di efficienza, tra i sistemi d’accensione moderni e quelli delle armi ad avancarica ma , nell’uso di questi ultimi, l’opera del tiratore può fare la differenza tra un’operazione di sparo perfetta ed una imperfetta.
IMPOSTAZIONE COSTRUTTIVA DELLE ARMI AD AVANCARICA
L’impostazione costruttiva delle armi a pietra e delle armi a capsula è tanto simile che spesso sia le pistole che i fucili vengono proposti al pubblico in entrambe le configurazioni.
A cambiare, in sostanza, sono solo gli acciarini mentre i tubi di lancio hanno identica conformazione, con la camera di scoppio forata lateralmente ed il focone a metterla in comunicazione con l’acciarino.
La forma del focone è tuttavia particolare: il suo sviluppo è tronco-conico, con la base rivolta verso la camera di scoppio e l’apice rivolto verso l’acciarino. Tale soluzione serve a fare in modo che i gas prodotti dalla deflagrazione della carica di lancio, in rapida espansione, siano indirizzati verso la volata senza che si verifichi una fuoriuscita degli stessi dal condotto secondario costituito appunto dal focone.
Il foro del focone deve essere libero e gli elementi in contatto con i componenti di innesco e di lancio devono essere, tanto nelle armi a pietra quanto nelle armi a percussione, “secchi”, in modo tale da prevenire il contatto tra polveri e sostanze che potrebbero inficiarne le proprietà piriche.
L’ACCIARINO A PIETRA
L’acciarino a pietra, nella configurazione attualmente più diffusa nella repliche, è conosciuto con il nome di “snaphance con pietra a focile” e rappresenta, in via schematica, il punto di arrivo di una ricerca iniziata nel secolo XIV, quando i sistemi più diffusi erano quelli a miccia, che costringevano gli archibugieri a servirsi di una fonte di fuoco vivo separata dal sistema d’arma che, senza di essa, risultava inservibile.
A seconda dei vari modelli d’arma gli acciarini di questo tipo hanno dimensioni diverse, legati al progetto originale e funzionali al disegno del tubo di lancio e alle caratteristiche bio-piriche del propellente abbinato ad esso.
Il funzionamento è identico per tutti e si basa, fondamentalmente, su tre elementi: un cane con ganasce di presa per la pietra focaia, una “martellina” ed uno scodellino.
L’accensione del propellente avviene dunque tramite l’accensione di un secondo combustibile, detto “polverino” o “primino”, che versato nello scodellino penetra nel focone lambendo la carica di lancio. L’interazione tra la pietra focaia e la martellina metallica, che urtano l’una contro l’altra, provoca scintille e attiva il polverino.
Quella che in gergo viene chiamata pietra focaia è un frammento minerale ottenuto per scheggiatura da un agglomerato cristallino a base di biossido di silicio e la sua adozione quale componente d’accensione è contemporanea a quella degli acciarini tipo “snaphance a pietra a focile”.
Gli acciarini a ruota utilizzavano infatti dei frammenti rocciosi a base di bisolfuro di ferro monometrico, più facilmente lavorabili di quelli in selce ma dalle proprietà piriche differenti.
L’interazione tra la pietra focaia e la martellina metallica produce visivamente delle scintille, le quali altro non sono che il risultato di un processo esotermico riconducibile alla reazione chimica con l’aria di particelle metalliche della martellina. Il rilascio di energia termica dovuto a tale reazione rende incandescenti minuscole particelle ferrose che, staccandosi dal corpo principale della martellina, vengono a contatto con il polverino contenuto nel bacinetto ed innescano il processo di sparo.
Il successo del sistema snaphance, soprattutto nella sua configurazione con martellina e copri-scodellino ricavati in un sol pezzo, si deve ai vantaggi della semplicità costruttiva, alla praticità e sicurezza di funzionamento.
Tale sistema, che si può considerare una versione perfezionata di quelli osservabili sugli esemplari d’arma del XVI Secolo, diede buona prova di funzionalità sia in ambito militare che in ambito venatorio e sportivo nel corso di molti decenni ma la sua efficienza è subordinata al corretto allestimento degli elementi d’accensione accessori all’acciarino, primo fra tutti la pietra.
Per un’accensione perfetta occorre dunque, oggi come all’epoca, prestare particolare attenzione alla verifica della robustezza del vincolo di blocco della pietra focaia tra le ganasce del cane, del corretto posizionamento del morsetto in piombo e del perfetto allineamento delle superfici di contatto della pietra e della martellina. Aiuta senza alcun dubbio a verificare l’esito della preparazione dell’acciarino l’esecuzione di scatti di prova.
Osservando dunque poche ma precise regole è possibile, anche con i sistemi “flint-lock” che a prima vista potrebbero apparire delicati, ottenere risultati impeccabili in termini di affidabilità…e divertimento.
L’ACCIARINO A CAPSULA
L’uso delle armi a capsula di diffuse in modo rilevante dopo la metà del XIX secolo ma le origini di tale sistema d’accensione risalgono ai primi anni del secolo e devono essere collocate geograficamente in Inghilterra per quanto il primo brevetto di un acciarino a percussione sia francese.
Originariamente il sistema di cui scriviamo era molto diverso da quelli basati sulle classiche capsule metalliche e la miscela esplosiva d’innesco era contenuta in un apposito serbatoio facente parte dell’acciarino.
Attualmente invece si utilizzano componenti separati dal sistema d’arma, cioè capsule metalliche in lega di rame o di ottone di forma cilindrica con una parete chiusa, che contengono la miscela innescante opportunamente trattenuta sul fondo della “coppetta”.
La miscela di cui parliamo, inizialmente costituita da fulminato di mercurio, è stata sostituita nell’arco degli anni da sostanze quali l’azotidrato o lo stifnato di piombo, efficienti e meno corrosive, si attiva per urto.
L’energia cinetica prodotta dalla percussione del cane sulla parte superiore del luminello si concentra sulle superfici di contatto degli elementi meccanici interessati generando calore e pressione.
Essendo la capsula posizionata proprio tra il luminello ed il cane il composto chimico d’innesco subisce gli effetti del calore e della pressione generati dalla percussione, esplode e produce un dardo infuocato che penetra nel condotto ricavato nel luminello e raggiunge la carica di propellente innescandone la combustione.
Oltre ai vantaggi pratici della semplicità d’utilizzo di tale sistema d’accensione vi erano quelli che riguardavano la fabbricazione stessa degli acciarini.
L’acciarino delle armi a percussione è abbastanza simile a quello delle armi a pietra ma risulta, già a prima vista, notevolmente semplificato rispetto ad esso: scodellino e martellina-coperchio sono eliminati e, al focone, è applicato un componente cavo detto “luminello”, tornito esternamente in modo da favorire l’incastro della capsula e forato internamente in modo da esporre la carica di lancio agli effetti dell’attivazione dell’innesco. Il cane perde la sua funzione di morsa e diventa un semplice elemento di percussione, con la testa cava la cui forma è adattata al disegno del luminello.
I vantaggi dell’uso della capsula rispetto alla pietra focaia sono di varia natura e riguardano tanto la sfera produttiva armiera che quella delle manovre di caricamento dell’arma: da un lato dunque il componente dell’acciarino risulta più semplice ed economico da produrre; dall’altro vengono semplificate le operazioni di sparo nella parte che riguarda la preparazione della pietra, il suo montaggio, la modifica dei piani di contatto con la martellina.
Dal punto di vista sportivo verrebbe da dire che l’uso di acciarini a percussione elimini determinate variabili di tiro ma è anche vero che il valore di una tale affermazione sia soggettivo e, probabilmente, questa sarebbe vittima della disapprovazione degli atleti che usano armi a pietra, capaci di ben destreggiarsi con il proprio sistema d’arma.
Così come avviene per i sistemi a pietra anche per quelli a percussione esistono vari tipi di capsula, che sono principalmente due: piccolo e “grande a quattro ali”.
Un metodo di accensione più moderno, diffuso prevalentemente negli U.S.A, si basa sull’utilizzo si capsule tipo .209, le stesse usate per il confezionamento di munizioni per fucili ad anima liscia.
Il dardo di fuoco generato da questi sistemi è imponente, garantisce accensioni anche in condizioni difficili ma presenta anche degli svantaggi: abbondanti sono i residui rilasciati dalla sua attivazione e, in definitiva, occorre prestare molta attenzione allo stato di pulizia del focone, facile ad otturarsi.
La potenza della capsula tipo .209 è tale da aver spinto l’azienda Pedersoli a produrre, qualche anno fa, un kit da allenamento casalingo, commercializzato con l’acronimo “I.S.E.” e pubblicizzato come “Indoor Shooting Experience”.
Per utilizzare nelle armi a percussione la capsula tipo .209 è necessario rimuovere il luminello standard ed installarne uno speciale, che sigilla completamente la capsula e trasforma il sistema di percussione da diretto ad indiretto con l’attivazione dell’innesco che avviene tramite l’uso del coperchio del luminello, foggiato a formare un percussore metallico.
CONCLUSIONI:
Il fascino del tiro con armi ad avancarica consiste dunque non solo nel conseguimento di altissimi livelli di performance balistiche ma anche nella consapevolezza che all’origine di un tiro ben eseguito c’è la corretta predisposizione di un sistema d’arma semplice e complesso al tempo stesso, il cui uso può dare inaspettate soddisfazioni.
La prova di queste asserzioni? Viene dal Sudafrica, una delle nazioni dove la pratica del tiro è più radicata nella società ed dove molti atleti, giovani e meno giovani, praticano tanto l’utilizzo di armi moderne quanto quello di armi ad avancarica, con risultati sportivi di enorme valore.